Da Schäuble una dichiarazione di guerra alla Bce
12/04/2016 - francoforte

Stavolta, l’attacco è frontale. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che nel recente passato si era limitato a contestare genericamente l’eccesso di liquidità creato dalla Banca centrale europea, si è scagliato a testa bassa contro il presidente della Bce, Mario Draghi, personalmente. Non solo ha contestato di nuovo la politica monetaria troppo accomodante di Francoforte («una droga»), ma ha detto di aver discusso la questione con il segretario al Tesoro, Jack Lew, con l’intento di «incoraggiare» al prpossimo G-20 la Federal Reserve, la Bce e la Bank of England ad alzare i tassi d’interesse. Ma addirittura ha attribuito a Draghi e alla sua politica monetaria «il 50% dei risultati» di Alternative für Deutschland, il partito anti-immigrati che ha ottenuto un chiaro successo nelle tre elezioni regionali del mese scorso.

Nelle ore immediatamente precedenti all’uscita di Schaeuble, diversi esponenti di spicco del partito del ministro, i democristiani della Cdu, e della formazione gemella bavarese, la Csu, avevano sparato una raffica di critiche alla Bce, e, attraverso il consueto veicolo del settimanale “Spiegel”, era stato fatto filtrare (per poi smentire) che il Governo tedesco è pronto a far causa all’istituto di Francoforte se dovesse spingersi ancora più in là, scegliendo di adottare la strada dell’helicopter money, la distribuzione di euro direttamente ai cittadini. Ipotesi che Draghi aveva definito «molto interessante», presumibilmente in senso accademico, ma che tre dei consiglieri a lui più vicini, Benoit Coeuré, Peter Praet e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco avevano già smentito fosse sul tavolo della Bce o discussa anche informalmente.

Può darsi che sia stato il riferimento all’helicopter money a far perdere le staffe a Schaeuble, che presumibilmente vedrà Draghi questa settimana a Washington alle riunioni del Fondo monetario e avrà l’opportunità per riaffermare le sue tesi nel consesso del G-20. Non è detto che riceva un’accoglienza calorosa. Non solo perché né Lew, né il suo collega britannico hanno il potere legale per dire alle rispettive banche centrali come comportarsi sui tassi d’interesse (come del resto non ce l’ha Schaeuble), ma perché la priorità, soprattutto negli Stati Uniti, resta la crescita, e se c’è una posizione che da tempo è isolata all’interno del G-20 è semmai quella del Governo tedesco, cui si imputa di non fare abbastanza con le risorse di bilancio che ha a disposizione. Tra l’altro, proprio alla vigilia delle riunioni, sia il direttore dell’Fmi, Christine Lagarde (che è venuta a dirlo esplicitamente alla Bundesbank a Francoforte), sia il capo della finanza, José Vinals, in un paper, hanno sostenuto che i tassi d’interesse bassi, e anche negativi, sono un elemento positivo, pur senza nascondersi che c’è un limite su fin dove possano spingersi e per quanto tempo, e che presentano rischi per la stabilità finanziaria. Cosa che del resto nessuno, nemmeno alla Bce (si veda l’intervista del governatore Visco al Sole 24 Ore di sabato scorso), nega.

Se poi si guarda ai tassi reali, depurati cioè dell’inflazione, che oggi è a zero, si vede che in Germania, negli ultimi quattro anni (da quando cioè il vituperato Draghi si è insediato alla Bce) questi sono semmai in rialzo e che furono assai più negativi per lungo tempo nell’era pre-euro della venerata Bundesbank. Ma allora nessuno fiatava. Il Governo tedesco preferisce cavalcare l’onda anti-Bce attizzata dal potente serbatoio di voti delle casse di risparmio e dei loro depositanti e dalle compagnie di assicurazione, altra lobby poderosa, che solo in Germania (e in Austria) hanno incautamente promesso ai risparmiatori un rendimento garantito sulle polizze vita. Ma il Governo sceglie anche di non contrapporre al “sequestro” dei risparmi dei tedeschi (chissà perché solo loro), i vantaggi che sono venuti alle imprese, che si finanziano a un costo del denaro minimo, agli esportatori grazie all’euro debole e allo stesso bilancio dello Stato, che, grazie alle politiche di Draghi, ha risparmiato sugli interessi abbastanza da consentire a Schaeuble di soddisfare il suo feticcio del deficit zero.

Per la prima volta, sette economisti tedeschi di peso hanno preso carta e penna per il centro studi Bruegel per dire alle autorità tedesche che dire sempre di no a tutto (“nein zu allem”, disse Draghi), non può essere una linea di confronto accettabile con la Bce ed è controproducente.

Ma, a monte del merito di una diatriba che il ministero delle Finanze ha derubricato a «normale discussione», c’è da porsi il problema della indipendenza della banca centrale, voluta a ogni costo dalla Germania e che per Berlino era sacra quando a protestare per la politica della Bce erano i francesi, o gli italiani, ma che ora diventa scartabile. Al punto da tirare in mezzo la Bce persino a considerazioni elettorali di partito e all’emorragia di voti dalla Cdu all’AfD. In una campagna peraltro dove per settimane si è parlato solo di rifugiati, e non certo di politica monetaria.
In rilievo
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