Cinque grafici dicono che l'Erasmus è la cosa giusta da fare
13/10/2015 - All’epoca non c’era internet, non c’erano i voli economici, non c’era Skype e nessuno sapeva bene cosa aspettarsi da un’esperienza del genere. Eppure già nel 1987, anno in cui nacque il programma Erasmus, 3.244 giovani pionieri trovarono il coraggio di fare le valigie e partire per trascorrere alcuni mesi in un’università all’estero.

Oggi il programma coinvolge 33 paesi e ha fatto partire più di tre milioni di studenti, docenti, personale universitario e neolaureati, l’equivalente della popolazione di Berlino o Madrid. Numeri che rendono l’Erasmus il più grande programma di mobilità per studenti del mondo e uno dei maggiori successi del progetto unitario europeo.

Un successo dettato anche dalle conseguenze dell’Erasmus sulla vita di chi decide di farlo. Chi parte, torna con un bagaglio di esperienze, competenze e relazioni che va ben oltre l’apprendimento di una lingua e una serie di ricordi indimenticabili. Chi parte per l’Erasmus vede la propria esistenza cambiare a livello professionale, sociale, culturale, affettivo e nel segno della costruzione di un’Europa più unita. A dimostrarlo è uno studio della Commissione europea che ha preso in esame 78mila persone e ha misurato l’impatto dell’Erasmus nella vita di chi decide di partire
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