01/09/2015 -
Il 24 agosto a Berlino François Hollande e Angela Merkel avrebbero dovuto parlare dell’Ucraina. In effetti, il presidente e la cancelliera hanno affrontato la crisi infinita sul fronte orientale insieme al presidente ucraino Petro Porošenko, ma l’argomento principale è stato un altro, ancora più caldo: i profughi che a decine di migliaia partono dall’Africa e dal Medio Oriente per approdare sulle coste europee in fuga dal terrore e dalla morte.
“È una situazione eccezionale che durerà fino a quando le crisi di cui siamo a conoscenza non saranno risolte”, ha dichiarato il presidente francese. Alcuni giorni prima la cancelliera aveva avvertito i suoi compatrioti che questo dramma rappresenta la più grande sfida che attende l’Europa. Hollande e Merkel hanno chiesto una risposta unita dei 28 paesi europei.
Il presidente e la cancelliera vorrebbero che le istituzioni comuni europee si facessero carico della creazione di centri d’accoglienza in Italia e Grecia, per diversi motivi: perché i due paesi mediterranei non sono più in grado di gestire il flusso di migranti, perché bisogna fare in modo che siano trattati in modo decente anziché abbandonarli a loro stessi, per arrestare la loro fuga disordinata verso nord e per poter distinguere caso per caso tra i semplici migranti in cerca di lavoro (che non hanno diritto all’asilo) e quelli per cui il ritorno nel paese d’origine significherebbe la morte e a cui non possiamo sbarrare la porta senza essere complici di un omicidio.
Inoltre Merkel e Hollande vorrebbero che i paesi europei rispettassero senza eccezione il diritto d’asilo, in nome dei valori dell’Unione e della solidarietà tra europei.
Al di là del dramma umano, la cui portata è senza precedenti in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, ciò che colpisce in questa crisi è la sua lezione politica. Noi europei stiamo scoprendo che non possiamo più ignorare le tragedie ai nostri confini orientali e meridionali senza pagarne il prezzo, che ci manca una politica estera comune nei confronti della Russia, dell’Africa e del mondo arabo e che non abbiamo strumenti comuni dal punto di vista militare e di ordine pubblico.
Ancora troppo divisi, non possiamo fare molto davanti al caos del mondo esterno. Siamo condannati a subire le ripercussioni della crisi siriana perché non abbiamo mai parlato con una sola voce a Damasco, e affrontiamo le conseguenze del crollo sovietico perché siamo stati incapaci di proporre alla Russia un accordo per la cooperazione e la stabilità continentale. In sostanza, l’Europa è ancora alle prese col dilemma tra essere e non essere. E speriamo che questa ennesima tragedia possa spingerci nella giusta direzione.