Libia, via libera Ue alla missione contro gli scafisti: navi, aerei e droni da almeno 10 Paesi
22/06/2015 - Cinque navi da guerra, due sottomarini, tre aerei di pattuglia marittima, due droni e tre elicotteri. Comincia così la battaglia europea contro i trafficanti d’uomini che fanno fortuna imbarcando sulle carrette del mare i disperati in fuga dalla Libia. La riunione dei ministri degli Esteri dei Ventotto ha dato il via libera formale alla prima fase della missione Ue, un accordo che renderà effettivo il dispiegamento dei mezzi in cielo e in mare già a partire dal primo luglio mentre si pianifica di potere annunciare il raggiungimento della piena capacità operativa già nel giro di un mese. Tanti i Paesi che hanno deciso di contribuire all’operazione: Italia, Gran Bretagna, Germania, Slovenia, Grecia, Francia, Lussemburgo, Spagna, Belgio, Finlandia, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi e Svezia. Almeno una decina mettono a disposizione mezzi navali o aerei. Paesi, fanno notare dall’Ue, non solo del Mediterraneo o delle aree limitrofe a dimostrazione che almeno in questo la solidarietà europea comincia ad esserci.

“È probabilmente la prima volta che l’Unione europea prende il tema dell’immigrazione così seriamente”, commenta l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, ricordando che “meno di due mesi fa il Consiglio europeo ci ha incaricati di preparare l’operazione” a cui oggi è stato dato ufficialmente il semaforo verde “con unanimità e unità” da parte del consiglio Affari esteri. “È il segno che l’Unione europea sta voltando pagina”, si dice ottimista Mogherini, ringraziando i Paesi “del Nord, Sud, Est e Ovest che stanno contribuendo all’operazione”.

Quella che partirà a breve, come noto, è soltanto la prima fase di un piano complessivo che punta ad arrivare nei mesi, e solo dopo il via libera (non scontato) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, anche ad operazioni nelle acque territoriali e lungo le coste libiche. Quello che si può già cominciare a fare, invece, sono operazioni di intelligence e monitoraggio per capire meglio, e poi tentare di neutralizzare, le reti di trafficanti nel Mediterraneo centrale e meridionale. “Sappiamo tanto ma non abbastanza, serve più precisione” spiegano fonti europee: “Vogliamo capire chi, quando, come, da dove vengono i soldi, dove vanno, chi sono i soggetti che operano”.

L’Italia avrà anche in questa prima fase un ruolo chiave. Non solo il nostro Paese ha il comando dell’operazione, affidato all’ammiraglio italiano, Enrico Credendino ed ospita a Roma il quartiere generale della missione, ma anche in acqua avrà un ruolo di riferimento. L’Italia ha messo a disposizione la nave ammiraglia Cavour, ufficialmente una portaerei che però, in questa fase in cui non servono aerei da combattimento, riconvertirà il suo ponte di volo da 220 metri per 34 per metterlo al servizio delle esigenze della missione. Sarà un centro di comando mobile ma anche una sorta di “ospedale” del mare per le prime cure dei migranti che certamente le navi europee si troveranno a salvare e che potrebbero avere bisogno di una prima assistenza di urgenza prima di essere portati a terra.

Perché se è vero che lo scopo per cui è stata pensata l’operazione non è salvare vite umane ma appunto smantellare il business model dei trafficanti, nessuno nega che il salvataggio di migranti sarà una delle difficoltà maggiori nelle quali si incapperà. “Sarà un’operazione complessa”, ammettono fonti europee, trasferire sulle nostre navi le persone, comprese donne incinta e bambini, che si ammassano su battelli sovraffollati. Soprattutto perché le navi a disposizione della missione “non sono particolarmente adatte all’accoglienza di volumi importanti di persone”. Ma ci si arrangerà, come hanno fatto fino ad ora pescatori e navi da commercio che si imbattevano nelle carrette del mare in avaria. Con la speranza che le informazioni raccolte siano utili a passare poi alle fasi successive della missione, quelle di eliminazione delle imbarcazioni dei trafficanti di uomini che dovranno ricevere un nuovo via libera da parte dei ministri degli Esteri dei Ventotto ma soprattutto, per la fase in acque libiche, il via libera delle Nazioni Unite.
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