Italia e Germania, così lontane sul debito. Quali rischi e come uscirne
25/01/2018 - a provocazione è stata lanciata via twitter. Un grafico molto chiaro, che racconta di quanto si sia allargata la distanza tra il debito pubblico italiano e quello tedesco, che ormai è da tempo ai massimi dall’introduzione dell’euro e continua a crescere. L’autore è Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio conti pubblici all’Università Cattolica di Milano, ex Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ed ex direttore del Dipartimento Affari Fiscali del Fondo monetario internazionale.

Il dibattito
L’invito del tweet («Il dibattito è aperto...») è stato immediatamente colto e la successione delle risposte ripropone tutti i luoghi comuni che sul tema si agitano in Italia, oltre a una fondamentale incomprensione del tema proposto. Che non è semplicemente l’andamento del debito pubblico, di cui si discute dagli anni 80 del secolo scorso, ma la distanza tra noi e la Germania.

Sullo stesso pianeta
«Siamo nella stessa area monetaria, ma invece di convergere stiamo divergendo», spiega Cottarelli. È un fenomeno che può portare a due valutazioni speculari: «Si può dire che siamo così diversi che non dovremmo stare insieme in un’unica area monetaria. Uscire dall’area euro sarebbe però così traumatico che dovremmo concludere, invece, che non possiamo far finta di vivere in due pianeti diversi».

La divergenza, del resto, non riguarda tutti gli indicatori. Alcuni, come il costo del lavoro e quindi la competitività misurata in base a questo parametro mostrano invece una (limitata) convergenza. «Non quanto in Spagna o in Portogallo», spiega Cottarelli ma in ogni caso il costo del lavoro sale in Germania più velocemente che in Italia e quindi le distanze si avvicinano. Quella che si sta creando sul tema del debito pubblico è però davvero notevole e crea rischi crescenti per l’Italia.

Il paragone con la Francia
La divergenza, oltretutto, non riguarda soltanto la Germania. Il debito pubblico italiano ha distanziato quello di quasi tutti i paesi dell’Europa core, e persino - dopo l’inevitabile riavvicinamento negli anni della crisi - quello di paesi più sfortunati durante la Grande recessione come l’Irlanda. Si potrebbe certo obiettare che il nostro debito è rimasto stabile rispetto alla Francia. «È vero, ma il loro livello del debito, che conta, è di 34-35 punti percentuali più basso». È, per riassumere, in un’area molto più “confortevole”.


LE CONSIDERAZIONI FINALI 31 maggio 2017
Bankitalia, Visco: «Possibile riportare il debito pubblico sotto al 100% in 10 anni»
Pareggio in tre anni
La soluzione è relativamente semplice. Un avanzo primario medio del 4% del pil, come è stato proposto da Ignazio Visco, trova d’accordo Cottarelli. «Non richiede un’austerità selvaggia e se congeliamo la spesa primaria in termini reali, potremmo raggiungere un bilancio in pareggio nel giro di tre anni». È uno sforzo di gran lunga più leggero di quello che fu necessario, con il governo Monti, quando il paese aveva perso la fiducia degli investitori internazionali. Oltretutto, con un Paese in ripresa è più semplice.

L’esempio del Belgio
Un altro paese ce l’ha fatta: il Belgio. «È il paese che ci ha battuti» in campo fiscale, spiega Cottarelli. «Nel ’94 - racconta - il Belgio aveva un debito pubblico del 134% del pil. In 14 anni lo ha ridotto di 50 punti percentuali, con un avanzo primario del 5% medio». Più alto, quindi di quello proposto all’Italia. «Ha quindi potuto affrontare la Grande recessione con un livello di debito più basso e i belgi sono stati meno esposti agli attacchi speculativi».

L’austerità che non c’è
Il tema dell’”austerità”, però, agita molto l’opinione pubblica italiana. Si pensa che sia una delle cause dei mali economici di cui il nostro paese, malgrado la ripresa, soffre. Peccato però che, di austerità, non si veda traccia. «Negli ultimi sei anni l’avanzo primario (la differenza tra le entrate e le uscite escludendo gli interessi sul debito, ndr) si è ridotto dal 2,3% all’1,7% del Pil», dice Cottarelli. Più che austerità, c’è quindi stato uno stimolo fiscale.


Cottarelli sa bene però che riportare il bilancio in pareggio, congelare - sia pure in termini reali, al netto dell’inflazione - la spesa primaria non è una misura priva di costi, ma non sono così elevati come si potrebbe pensare. «Alcuni economisti pensano che l’austerità possa essere espansiva, ma io non sono tra questi. C’è un prezzo iniziale che va pagato, in termini di crescita, ma poi si cade subito nella situazione opposta»: il Pil può tornare ad accelerare. Sfugge spesso, nel dibattito pubblico, il fatto che è la variazione del deficit ad avere effetti sulla crescita. Una volta che il disavanzo si è ridotto, e viene stabilizzato, il Pil può accelerare, letteralmente senza freni (economici).

Gli sprechi tra realtà...
Basta ridurre gli sprechi? Un po’ a sorpresa, la risposta di Cottarelli è no. L’ex commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica conferma, ovviamente, che ci sono ampi spazi per intervenire. «Ci sono servizi che possono essere prodotti a costi più bassi» (per esempio, una caserma dei carabinieri vicina a una centrale della polizia può essere un duplicato), spiega.

...e retorica
Allo stesso modo «ci sono sussidi che vengono attribuiti a chi non ne ha bisogno», come i biglietti di tanti trasporti pubblici che non ricoprono i costi. Tagliare gli sprechi migliora l’efficienza, questo è indubbio. Nell’immediato, però, un taglio agli sprechi ha comunque l’effetto di una riduzione della spesa. Un prezzo insomma, va pagato, anche se solo in termini di un raffreddamento della crescita.
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