Italia, Germania e Francia unite ma senza derive nazionalistiche
02/03/2017 - Deve esserci un sottile filo di imbarazzo che pervade alcuni esponenti della diplomazia economica europea. Da un lato sono impegnati nella costruzione di una politica industriale continentale forte e coesa e dall’altro devono gestire interessi nazionali che rischiano di entrare in conflitto con i partner di pari grado. È difficile d’altronde non cogliere una certa incongruenza tra la scelta francese di unirsi a Germania e Italia nella battaglia di principio contro gli investimenti cinesi sleali e i messaggi non proprio amichevoli che Parigi sta lanciando sull’acquisizione da parte di Fincantieri del controllo dei cantieri navali di Saint-Nazaire.
Se questa sensazione di alleanze variabili dovesse essere confermata, non sarebbe a dire il vero un segnale particolarmente incoraggiante. Come noto, due settimane fa, la Francia ha deciso di partecipare a un’iniziativa partita da Germania e Italia per chiedere alla Commissione poteri aggiuntivi, che arriverebbero fino al veto, nei confronti di acquisizioni cinesi nel settore hi-tech che non dovessero rispettare le regole delle economie di mercato. Una naturale conseguenza, secondo i tre Paesi, del principio di reciprocità. Va ricordato che si discute ormai dal 2013 di un accordo Ue-Cina sugli investimenti diretti esteri (Ide) allo scopo di limitare o annullare le barriere attualmente erette da Pechino. Si può perfino ipotizzare che l’affondo trilaterale sia una mossa tattica per ottenere l’accelerazione di quei negoziati, ma non cambierebbe di molto la sostanza.
Le «minacce» esterne da Cina e Stati Uniti
Il punto infatti (è la posizione italiana, espressa durante il forum bilaterale con la Germania di gennaio) è che i tre grandi Paesi manifatturieri europei dovrebbero far fronte comune di fronte ad avversari e sfide che sono altrettanto comuni,senza imbastire guerre fratricide, mentre oltre l’Atlantico si preannunciano ulteriori chiusure per gli appalti pubblici nel nome del “Buy American” e in Cina si affilano le armi per acquisire e forse trasferire tecnologia europea. Tra gennaio e ottobre 2016, ha calcolato il settimanale Spiegel, gli investitori provenienti da Cina e Hong Kong hanno acquistato 58 imprese tedesche, tra le quali spiccano aziende ad alta tecnologia come Kuka (robot), KraussMaffei (macchine agricole), EEW (inceneritori). L’Italia, con la prossima norma “anti scorrerie” sulle scalate e con un possibile potenziamento dei poteri speciali noti come golden power, valuta a sua volta il rischio di perdere alta tecnologia e lo stesso probabilmente ha fatto la Francia.
Il caso Fincantieri-Stx e la linea della coerenza
La minaccia, se tale si può già definirla, è comune. Ma le schermaglie su Fincantieri pongono un problema di coerenza, perché con una mano si firmano alleanze con Germania e Italia e con l’altra si vorrebbero scrivere condizioni a un’operazione effettuata entro i perimetri delle regole di mercato. Per amore di verità va anche detto che lo stesso governo italiano, dopo la vicenda Vivendi-Mediaset e le critiche a un espansionismo opaco non passate inosservate a Parigi, dovrà muoversi con perfetto equilibrio lungo il filo di norme che se non dosate a dovere, e condivise dalla Commissione, scatenerebbero a loro volta giustificati anatemi degli anti interventisti.
Il calo degli investimenti esteri in entrata
Tra il 2007 e il 2015, nonostante l’attivismo cinese, l’Unione europea ha perso il 42% degli investimenti esteri diretti in entrata ed è evidente che barriere discriminatorie non farebbero che aggravare una perdita di competitività interna. Non a caso Germania, Italia, Francia (insieme a Polonia e Spagna) sono anche tra i firmatari dell’appello per un rilancio della politica industriale europea che ha tra i capitoli centrali proprio il supporto e la tutela degli investimenti esteri. Monitorandoli con attenzione, tuttavia, « alla luce di determinate prassi di investimento strategico da Paesi extra- europei nei quali esistono forti ostacoli agli Ide». È tempo di alzare il livello di attenzione, secondo questa tesi, trasferendo il concetto di parità di trattamento in regolamenti ed azioni.
Quanto questa linea comune risulterà credibile dipenderà anche dagli equilibri sulle scelte interne, dalla tenuta dei confini tra interesse nazionale e deriva interventista, dalla coerenza tra la politica industriale che si pratica in patria con quella che si professa con gli alleati in Europa.
In rilievo
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