Il «fattore I» e gli esami di ammissione da superare
27/02/2017 - Non si può costruire il futuro su debito e deficit»: l’avvertimento, l’ennesimo, non arriva da Wolfgang Schäuble, l’iper-ortodosso ministro delle Finanze tedesco, ma da Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Ue che, più dell’arcigno guardiano del patto di stabilità, incarna l’abile interprete della flessibilità delle sue regole. Destinatari del messaggio, i soliti noti: Italia, Belgio, Grecia, tutti Paesi dove «la crescita va migliorata».
A furia di incassare reprimende a ripetizione da Bruxelles, si rischia di diventarne immuni o, più semplicemente, di rispedirle al mittente tra ribellismo più o meno confessato e un allineamento riluttante che nei fatti si traduce in impegni troppo spesso sottodimensionati rispetto alle promesse.
Si va avanti così da anni. Peccato che nel frattempo l’Italia dentro l’eurozona sia andata indietro: se cresce, lo fa a un tasso che è la metà della media dei partner, quest’anno nell’Unione a 28, che per la prima volta cresce senza eccezioni, sarà l’unico Paese a non superare l’1%. Calo di produttività, emorragia di competitività, riforme lente e non sempre incisive, debito altissimo, banche fragili, montagne di crediti deteriorati…
C’è un problema italiano in Europa, anche se si tende a parlare molto di più di quello greco: un po’ perché è più impellente e un po’ perché fa meno paura di un’eventuale crisi della terza economia dell'euro.
Ma il problema c’è, irrisolto e innegabilmente aggravato dalla prospettiva di un’instabilità politica incontrollata, che si somma a quella economico-finanziaria-sociale, dove il ritorno al proporzionale sembra fatto apposta per frantumare il quadro riportando il Paese nell’incubo dell’ingovernabilità. Che è il grande incubo attuale dell’Europa, in pieno clima elettorale dalle prospettive dovunque molto incerte.
Il premier Paolo Gentiloni invita a serrare le fila, a garantire l’operatività del Governo. Quindi, implicitamente, a evitare a tutti i costi le elezioni anticipate. Perché sono un lusso che, in questo momento, il Paese non si può permettere.
Tra aprile e maggio l'Italia deve fare i conti con una serie di difficili scadenze europee, cui non può sottrarsi a meno di non voler incorrere in una procedura di infrazione, cioè a meno di non volersi arrendere al regime duro dei sorvegliati speciali europei. Ci sono da fissare prima i contenuti della manovra da 3,4 miliardi per mettere in sicurezza la dinamica del debito, evitando appunto la procedura Ue. Poi in maggio bisognerà presentare un ambizioso piano di riforme che evitino di accentuare gli squilibri macroeconomici del Paese, rafforzandone al contrario il potenziale di crescita economica.
Sfide non impossibili ma molto complesse, politicamente e socialmente esplosive. Sfide necessarie e senza alternative. Il tempo è quasi scaduto. L'Italia non si può più permettere di vivacchiare (male) dentro l'eurozona, accettando di convivere con devianze, sempre più insostenibili, dal processo di convergenza delle sue strutture e del suo modello di sviluppo con il resto dell'area. Deve ribadire nei fatti, e presto, la sua scelta di campo e comportarsi di conseguenza. Con un coraggio politico che non le è sempre congeniale. Inutile illudersi che l'Europa, che si prepara a ricostruire il proprio futuro, sia anche pronta a venirle incontro, a farle qualche sconto qua e là su riforme e disciplina per smussare gli angoli di una partnership faticosa. Succederà invece esattamente il contrario.
Se è vero che l'Europa ripartirà per convogli più omogenei con i Paesi disposti ad accelerare l'integrazione, che si tratti di euro o di difesa, è evidente che gli esami di ammissione saranno severissimi: né potrebbe essere altrimenti, se lo scopo sarà quello di ridurre al minimo le eterogeneità intraeuropee per restituire all'Unione identità, consensi e credibilità interna ed esterna. Per ora le elezioni in Olanda, Francia e Germania bloccano le decisioni. Tempo massimo due anni, conclusi anche i negoziati su Brexit, verrà il momento di agire scrivendo la nuova mappa del potere e delle integrazioni europee.
L'Italia ha davanti grosso modo 24 mesi per recuperare stabilità e scongiurare il rischio della propria auto-emarginazione. Per capire che risanamento dei conti, modernizzazione e competitività del Paese non sono lo scotto da pagare a Bruxelles ma scelte da compiere nell'interesse nazionale, a prescindere dalla decisione di stare o no nell'Ue. L'Europa è alla vigilia di una nuova selezione darwiniana mentre l'ordine del dopoguerra si dissolve a poco a poco, cambia la geopolitica del continente e della Nato, gli equilibri si riassestano verso Nord-Est e muta anche il valore strategico dell'Italia nel Mediterraneo. Anche questa variabile farà parte del futuro conto del dare e dell'avere in Europa. Senza dimenticare che le Alpi ci dividono dalla Mitteleuropa. Per superare la barriera che a molti dei nostri partner potrebbe far comodo, dovremo dimostrare di essere indispensabili e, di sicuro, migliori di molti altri sotto tutti i punti di vista.
In rilievo
Per ulteriori informazioni: | Padiglione Melandri - Piazzale Solieri, 1 - 47121 Forlì | Tel.: +39 0543 374807 | Fax: +39 0543 374801 | E-mail: |
Per contattare lo Europe Direct più vicino a voi potete consultare il sito della Commissione europea del servizio Europe Direct o telefonare al numero verde 00800 6 7 8 9 10 11 del servizio Europe Direct di Bruxelles

- PuntoEuropa.eu | Versione | Sviluppato da Paolo Burgio | Area Riservata -