Quanto guadagnano in più i laureati fuggiti dall’Italia?
15/02/2017 - Qualche numero sulla fuga di cervelli dal nostro Paese può essere più utile di mille parole. Secondo i dati Istat 2015, un laureato italiano su venti risiede all’estero a quattro anni dalla laurea: quindi ogni anno 14mila laureati emigrano oltreconfine, ma il dato - come spiegano i demografi Ettore Recchi, Giulia Assirelli e Carlo Barone - è probabilmente sottostimato perché l’indagine Istat non raggiunge tutti i “neodottori”. E il trend è in forte crescita: rispetto alla precedente indagine Istat del 2011, il tasso di emigrazione all’estero è raddoppiato dal 2,4% al 4,7%.
Ma perché i laureati italiani, soprattutto quelli con in tasca i titoli più appetibili, se ne vanno? Un’analisi preziosa in materia è quella tracciata proprio da Recchi, Barone e Assirelli nel working paper Graduate Migration out of Italy: Predictors and Pay-Offs, pubblicato dall’Observatoire sociologique du changement francese nella collana “Notes & Documents de l’Osc”.
Qual è l’identikit del laureato che abbandona l’Italia? Proviene più spesso da università del Nord e da facoltà scientifiche come matematica, fisica, ingegneria, informatica, oppure da lingue o studi internazionali. Si è diplomato più spesso in un liceo, ha ottenuto più frequentemente un voto di 110 e lode e ha più probabilità della media di aver frequentato programmi di scambio internazionale durante gli studi universitari (come l’Erasmus). «Le differenze rispetto a chi resta non sono molto forti - spiegano i tre ricercatori su Neodemos.info - ma nel complesso è difficile sostenere che il nostro Paese esporti laureati di scarso valore di cui non si sentirà la mancanza».
Quanto guadagna in più un laureato italiano che va all’estero? Lo studio dei tre ricercatori italiani ha preso in esame la retribuzione media di 1163 italiani che vivono oltreconfine a quattro anni dalla laurea, confrontandola con quella di chi è restato nel nostro Paese e “aggiustando” i dati in base al costo della vita delle varie aree geografiche (con il PPP conversion factor). Il risultato: l’Italia viene battuta da ogni Stato e continente, compresa l’Europa dell'Est e i Paesi in via di sviluppo. Prendiamo i dati aggiustati in base al costo della vita: i 1816 euro netti mensili del brillante laureato rimasto in Italia diventano 2135 nel resto dell’Europa meridionale, 2248 nell’Europa settentrionale (Scandinavia, Regno Unito e Irlanda) e 2472 nell’Europa occidentale continentale (Germania, Francia, Svizzera, Benelux). Ma salgono a 2843 euro nell’Europa dell’Est e a 3161 euro nei Paesi extra Ue sviluppati (Stati Uniti, Canada e Australia) per volare a ben 5097 euro nei Paesi extra Ue in via di sviluppo. Con una retribuzione doppia, in termini di parità di potere d’acquisto, rispetto a quella di chi è rimasto in Italia.
Ma non è solo la prospettiva di un miglior reddito ad alimentare la fuga oltreconfine. «I nostri modelli statistici indicano che chi emigra all’estero svolge più spesso lavori più qualificati (+6,8%) e percepisce di avere migliori opportunità di carriera (+21%) - spiegano i ricercatori - . E' possibile che questi differenziali non discendano solo dalla scelta di migrare, ad esempio chi emigra potrebbe essere mediamente più capace e motivato di chi resta (ipotesi spesso menzionata in letteratura)». Comunque sia, nove laureati emigrati su dieci (89,6%) hanno dichiarato di essere partiti proprio per trovare lavori più qualificati. E spesso li hanno trovati. E' realistico pensare di farli tornare in massa in Italia?

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