Banche centrali decisive anche per sostenere le politiche fiscali espansive
16/01/2017 - Le politiche fiscali stanno diventando sempre più espansive in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Cina all'Europa. I motivi sono vari, ma in tutti i casi c'è un volano comune: gli stimoli fiscali dei vari Governi sono supportati dalle banche centrali». Francesco Garzanelli, co-head global markets del colosso americano Goldman Sachs, riapre il dibattito sullo spazio fiscale creato dalle banche centrali: se il neo-presidente americano Trump può annunciare importanti tagli alle tasse e investimenti pubblici, se lo stesso fa il Giappone e se l'Europa può mettere sul piatto i soldi (non molti in realtà) per gestire i flussi migratori o per cercare di stimolare l'economia, è anche grazie alle banche centrali. Se ovunque nel mondo la politica fiscale diventerà più espansiva nel 2017 senza grosse ripercussioni sui tassi di finanziamento dei governi, sarà anche grazie a loro: ai banchieri centrali.
Di fatto, le banche centrali sono oggi tra i principali detentori ed acquirenti di titoli governativi sui mercati. Sono dunque loro a “finanziare” - di fatto - le possibili politiche fiscali dei Governi. Sono i numeri, calcolati da Goldman Sachs, a parlare da soli. La Bundesbank acquisterà ogni anno l'85% delle emissioni lorde di titoli di Stato tedeschi, tanto che a fine 2017 arriverà a detenere quasi il 40% dell'intero debito pubblico della Germania. La Banca d'Italia compra ogni anno circa la metà delle emissioni lorde di BTp, arrivando a immagazzinare nel suo bilancio a fine 2017 qualcosa come il 15-17% del totale debito italiano. E la media in Europa sarà di circa il 25% a fine anno. Ma anche negli Stati Uniti, dove il quantitative easing è terminato da anni, la Federal Reserve detiene il 30% del debito pubblico e continua a reinvestire i fondi incassati dai titoli di Stato in scadenza: acquisterà così nuovi Treasury per circa 200 miliardi di dollari nel 2017 e per circa 400 miliardi nel 2018.
«I continui acquisti di titoli e i continui reinvestimenti da parte delle banche centrali, riducono il rischio di rifinanziamento ed aiutano ad allungare la durata finanziaria dei debiti pubblici. Per di più gli interessi pagati dagli Stati alle banche centrali, per queste grandi porzioni di debito, vengono consolidati», osserva Garzarelli. Proprio in questi giorni è arrivato dagli Usa il dato ufficiale: nel 2016 la Fed ha restituito al Governo Usa 92 miliardi di dollari di utili realizzati grazie ai titoli di Stato. E se si obietta che questo rimpallo tra banche centrali e Governi rischia di diventare un boomerang in futuro, Garzarelli scuote la testa. «Data la situazione attuale, secondo me è invece positivo».
Il ragionamento dell'economista di Goldman Sachs è lineare. La crisi economico-finanziaria è iniziata un decennio fa a causa di eccessivi debiti privati, caricati soprattutto sulle spalle delle famiglie americane. Scoppiata la crisi, gli Stati sono dovuti intervenire per salvare le banche, trasformando di fatto il debito privato in debito pubblico. «In quegli anni c'è stata una gigantesca socializzazione dei problemi per evitare una recessione ancora più profonda», chiosa Garzarelli. Così oggi ci troviamo un mondo in cui gli Stati hanno debiti enormi, molto maggiori rispetto al periodo pre-crisi.
«Per ridurre questo fardello globale ci sono solo tre strade - osserva Garzarelli -. Servirebbe una forte crescita economica, che però è improbabile in una società matura come la nostra. Oppure servirebbe una elevata inflazione, ma nonostante il rimbalzo attuale dei prezzi il mondo è troppo competitivo per registrare balzi sufficienti. La terza via da percorrere, chiaramente unitamente ad una riduzione dei disavanzi in futuro, sembra essere quella incentrata su una ristrutturazione del debito pubblico. E questo può avvenire anche all'interno del settore pubblico allargato, cioè con la cooperazione tra Governi e banche centrali. Se queste ultime comprano fette importanti di debiti statali e le mantengono in bilancio sostituendo ogni titolo che scade con un titolo nuovo, di fatto aumentano la durata finanziaria del debito stesso e deprimendo la spesa per interessi».
Ecco perché Garzarelli non considera pericoloso il corto-circuito tra banche centrali e Governi, come altri economisti. Anzi: crede che proprio questo, associato a un ritorno globale dell'inflazione e alla fine dei tassi negativi, contribuirà quest'anno alla ripresa dell'economia.
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