Brexit: La verità sui giovani. Che non hanno votato
27/06/2016 - I britannici sotto i 24 anni hanno partecipato in percentuali minime al referendum su Brexit, delegando ai più anziani la scelta sul proprio futuro
Londra – Passati due giorni dalla chiusura delle urne del referendum su Brexit, è arrivato il momento di fare una breve analisi sul voto. In questi giorni si è sentito spesso parlare del voto dei giovani e di quello degli anziani e, in particolare, di come quest’ultimo abbia influito sul successo del fronte del Leave.
È stato a lungo dibattuto che gli anziani hanno scelto per i loro nipoti, prendendo una decisione di cui probabilmente non vedranno mai gli effetti. Tutti i principali media, sia inglesi che italiani si sono focalizzati su questo punto, tralasciandone uno molto più importante. Infatti, se è vero che la coorte di età superiore ai 65 anni ha votato in forte maggioranza per uscire dall’Unione Europea (60%), è anche vero che questa classe ha più in generale votato (83%), mentre i giovani benché abbiano espresso la propria posizione contraria alla Brexit, hanno visto una partecipazione inferiore alle urne (36% nella fascia d’età 18-24, secondo Sky Data). I dati mostrano un grande divario generazionale, non solo in relazione all’espressione del voto, ma anche alla partecipazione alle urne.
Un suggerimento riguardo a questo possibile effetto era arrivato da tutti i partiti politici e, in particolare, da Britain Stronger IN Europe, il maggior comitato contrario alla Brexit. Non a caso, il comitato, si era dotato di un movimento universitario per fare campagna all’interno delle università.

Nell’analisi entra in ballo un’altro dato, quello dell’istruzione. Infatti, un’ulteriore differenza nel voto, si può ritrovare nella differenza per livello di istruzione. Come si può vedere dall’immagine a fianco, gli elettori con un tasso di istruzione più alta hanno espresso il loro voto al favore del Remain.

Lo stesso hanno fatto gli elettori con un reddito netto più alto rispetto a quelli con un salario inferiore. I dati mostrano un paese sostanzialmente spaccato, un dipinto di una lotta tra classi sociali, che i partiti non hanno saputo interpretare, in particolare il Labour Party.

Proprio il Labour party sta vivendo un momento di crisi profonda, con la leadership di Jeremy Corbyn messa in discussione da un voto di sfiducia, la cacciata del ministro ombra per gli esteri Hilary Benn e le dimissioni di 8 ministri ombra: Salute, Giovani, Trasporti, Educazione, Ambiente, Tesoro e il responsabile per la Scozia. Lunedì, John Cryer, presidente del gruppo, dovrà prendere in considerazione la mozione di sfiducia, che in caso di parere favorevole verrà votata già martedì.
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