La Spagna tenta la svolta a sinistra Verso un governo socialisti-Podemos
03/02/2016 - «Proverò a formare il governo con le forze del cambiamento. Spero che tutti siano all’altezza delle responsabilità». Il leader socialista Pedro Sanchez si è rivolto così, in modo nemmeno troppo velato, agli indignati di Podemos pochi minuti dopo aver ricevuto da re Felipe VI l’incarico di formare un nuovo governo. Sanchez sarà da oggi impegnato nelle trattative: per guidare il Paese con una maggioranza stabile, l’alleanza socialisti-Podemos avrà bisogno anche dell’appoggio dell’estrema sinistra (non così difficile da ottenere) e dei partiti autonomisti di Paesi Baschi e Catalogna (che in cambio però vogliono l’indipendenza). Sanchez ha chiesto «almeno un mese» per tentare di formare il governo mantenendo l’impegno di «non tradire milioni di spagnoli che hanno votato per il cambiamento».

Il gioco delle alleanze nel Parlamento frammentato

La Spagna prova la svolta a sinistra dopo che dieci giorni fa il premier uscente, Mariano Rajoy aveva rinunciato all’incarico prendendo atto dell’impossibilità di mettere assieme una maggioranza. Nelle elezioni del 20 dicembre infatti i popolar si sono confermati primo partito senza tuttavia ottenere i numeri per governare nel Parlamento più frammentato della sua storia democratica: 123 deputati sui 350 del Congresso, la Camera bassa del Parlamento, l’unica che conta per la fiducia all’esecutivo. Ai socialisti di Sanchez sono andati invece 90 deputati, mentre Podemos e Ciudadanos - i due movimenti che da sinistra e dal centro hanno cancellato il sistema bipartitico - hanno ottenuto rispettivamente 69 e 39 seggi.

Anche ieri Rajoy nel colloquio con il re spagnolo aveva insistito sulla sua proposta di grande coalizione. «Gli spagnoli vogliono che i partiti si ascoltino, negozino e siano capaci di formare un governo: la mia proposta è un esecutivo guidato dal Partito popolare insieme a socialisti e Ciudadanos. Siamo d’accordo sulle questioni fondamentali: unità del Paese, sovranità, giustizia sociale, l’euro, la lotta al terrorismo», aveva detto il leader conservatore spiegando di sentirsi ancora il candidato premier dei popolari pur non avendo ricevuto alcun incarico da Felipe VI. Rajoy aveva inoltre chiuso ogni possibilità all’ipotesi di aiutare con l’astensione la realizzazione di un governo composto da socialisti e da Ciudadanos.

Gli indignati di Podemos verso il governo

Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, già nei primi colloqui con Felipe VI, era stato molto chiaro nel sostenere «un governo di cambiamento guidato dal socialista Pedro Sanchez sostenuto anche da Izquierda Unida», proponendosi come vicepremier. «Sono pronto per iniziare a lavorare. I socialisti - aveva detto Iglesias - non sono nella posizione di formare da soli il prossimo governo. Credo che il destino stia sorridendo a Sanchez offrendogli l’opportunità di diventare premier. E credo che Sanchez dovrebbe per sempre essere riconoscente per questo». Dal canto suo Sanchez si era mostrato cauto attendendo la rinuncia di Rajoy ma spiegando che «nel caso fossimo chiamati a governare, né gli elettori socialisti né quelli di Podemos capirebbero un mancato accordo».

Iglesias ha da tempo dichiarato che nei primi cento giorni il nuovo governo di alternativa dovrà occuparsi dell’emergenza sociale, facendo riferimento al sussidio per i disoccupati, per poi realizzare nel corso della legislatura la riforma della giustizia e quella della legge elettorale, con un maggiore e più costante sforzo contro la corruzione. Mentre guardando all'Europa, il leader di Podemos ha sempre precisato che la Spagna rispetterà i patti sul risanamento di bilancio ma che il deficit andrà «ridotto più lentamente», abbandonando le politiche di austerità.

L’economia continua a correre

La Spagna sta vivendo una nuova e inedita fase politica. La stabilità che ha aiutato la quarta economia dell’Eurozona a risollevarsi dalla lunga recessione è stata spazzata via dal voto democratico nel quale - dopo anni di profondissima crisi e nonostante la ripresa in atto - hanno prevalso il sentimento antagonista e la voglia di cambiamento. Da Bruxelles in queste settimane sono giunte dichiarazioni preoccupate per la paralisi politica di Madrid: «Spero che si arrivi al più presto alla formazione di un governo stabile», ha detto il presidente della Commissione Jean Claude Juncker.

Tuttavia la ripresa sembra prendere forza trimestre dopo trimestre, il 2015 si è chiuso con un aumento del Pil del 3,2%, il maggiore dal 2007. Con il tasso di disoccupazione sceso al 20,9%, un dato ancora allarmante ma inferiore di quasi tre punti percentuali rispetto a quello registrato alla fine del 2014. «Il vento a favore della politica monetaria, i prezzi bassi del petrolio, e i guadagni dei salari reali dovrebbero continuare anche nei prossimi mesi. Mentre l’incertezza politica, determinata dal voto inconcludente di dicembre e dalla questione della Catalogna, potrebbe pesare negativamente sugli investimenti della prima metà di quest’anno», spiega Apolline Menut di Barclays Research.

I prossimi passi verso il governo

Sanchez dovrà ora cercare di mettere assieme una maggioranza puntando, inevitabilmente, sull’aiuto di Podemos, di Izquierda Unida e dei partiti separatisti baschi e catalani. Poi dovrà presentarsi in Parlamento ma non ci sono limiti di tempo espliciti per il voto sulla fiducia del nuovo governo e quindi per le trattative.

La Costituzione spagnola sembra quasi impreparata rispetto alla paralisi che si è venuta a creare con il voto di fine dicembre. I due mesi di tempo concessi per la formazione di un esecutivo vengono calcolati a partire dal dibattito di investitura che però, come si è detto, può essere preceduto da lunghissime negoziazioni tra i partiti.
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